Quando si parla di sport di squadra, la strada che porta una società al successo è lunga e tortuosa. Tutte le vittorie in campo passano prima dal duro lavoro svolto in allenamento, dalla motivazione dei singoli atleti, dall’alimentazione e dal recupero fisico. C’è un’altra caratteristica però che riveste una notevole importanza in una squadra anche se spesso viene lasciata al caso anziché essere sviluppata e curata: la comunicazione.
La molteplicità dei protagonisti in campo infatti, unitamente alla complessità tattica e all’intensità dinamica che caratterizza ogni disciplina, impone una forte collaborazione che viene rafforzata se vi è una adeguata interazione comunicativa.
Professionisti come Michela Golia lavorano dietro le quinte per favorire i processi di comunicazione dentro e fuori dal campo, per facilitare l’integrazione di atleti che provengono dall’altra parte del mondo e per agevolare un loro rapido inserimento in un nuovo ambiente sociale e culturale.
Michela nasce a Milano nel 1989, dopo il diploma di liceo classico si laurea in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano e consegue il DITALS di primo livello dell’Università per stranieri di Siena tramite l’Istituto Dante Alighieri di Milano. Durante gli anni di studio collabora con diverse associazioni culturali e nel 2016 apre a Monza un centro linguistico. Oltre a una passione per il latino e il greco antico, parla fluentemente inglese, francese e spagnolo.
Michela, oltre a insegnare, ha pubblicato da poco il suo primo romanzo “Storia di una bambina precoce” edito dal Gruppo Albatros: “In questo libro è presente una parte autobiografica e una parte di finzione – spiega – l’idea di scriverlo mi è venuta quando nel 2016 ho aperto il centro linguistico a Monza”.
Michela, presentati ai lettori.
Ho sempre avuto una passione per la comunicazione e le lingue straniere; a 26 anni, unendo la mia vena letteraria a quella imprenditoriale, ho aperto “Cultura e Lingua” un centro di insegnamento e aggregazione. Dopo un primo periodo di passaparola, ora l’attività è molto frequentata sia da giovani che da adulti per fare ore di lezione o solamente studiare come fosse una biblioteca. Tengo lezioni di lingua private e da poco mi dedico anche al mondo sportivo.
Quanto è importante la comunicazione per un atleta?
E’ essenziale: lo sportivo si focalizza tantissimo sulla comunicazione, ha più necessita degli altri di interagire perché il mondo dello sport è fatto non solo di gesti ma anche e soprattutto di parole.
Come hai iniziato a lavorare nel mondo dello sport?
Ho iniziato insegnando inglese a Fabio Perego, Vicepresidente del Comitato Regionale Lombardo della Federazione Ciclistica Italiana e manager di numerosi corridori professionisti. Dopodiché ho continuato con Gianni Bugno, uno dei più grandi ciclisti su strada italiani. Il primo sportivo straniero a cui ho insegnato l’italiano è stato Wang Chen, pallavolista cinese passato in serie A1, al Consorzio Vero Volley. Attualmente insegno italiano a Oleh Plotnytskyi, schiacciatore della Vero Volley Monza.
Come si insegna la lingua italiana a uno sportivo straniero?
Si parte insegnando i vari modi di salutare. Siamo un paese caldo e accogliente, quindi la prima cosa da fare con un atleta straniero è educarlo ai vari tipi di saluto che tradizionalmente abbiamo. La stretta di mano, i baci, il cinque, lo sportivo deve comprendere chi e come salutare a seconda del contesto; successivamente si insegna la distinzione tra il “tu” e il “lei” e la differenza tra una situazione formale e una informale. Evito di approfondire i tecnicismi dello sport di appartenenza, sarebbe un discorso troppo settoriale nel quale l’insegnante rischia di perdere l’attenzione dell’allievo.
In quanto tempo si impara la lingua italiana?
Non c’è una regola oggettiva, dipende sempre da chi si ha davanti. Se il singolo, come tutti gli sportivi, è determinato e motivato allora il lavoro diventa rapido.
E i pallavolisti sono dei buoni allievi?
Certamente! Hanno una forte determinazione nel raggiungere il risultato e questo aiuta molto. Una volta insegnate le prime parole, sono poi loro stessi che vogliono approfondire la lingua partendo da aneddoti o situazioni personali. Per esempio, sia Wang Chen che Oleh mi hanno raccontato spontaneamente del loro paese d’origine e della loro infanzia, descrivendo analogie e differenze con la cultura italiana. Dall’insegnamento della lingua quindi si passa poi facilmente ad insegnare la cultura del nostro paese.
Qualche aneddoto sui tuoi allievi Wang Chen e Oleh?
Beh, per quanto riguarda Wang Chen mi ricordo che le prime lezioni eravamo in tre: io, lui e un’interprete. Wang parlava solamente cinese, quindi per comunicare con lui c’era bisogno di una traduttrice che riportasse dall’inglese al cinese le mie parole. Il problema era che anche l’interprete faceva molta fatica a comunicare con Wang perché lui parlava solo il dialetto della sua regione. Era come giocare al “telefono senza fili” (ride, ndr). Con Oleh invece è stato molto più facile perché parla un ottimo inglese; all’inizio aveva poca voglia di venire a fare lezione, ma poi si è appassionato e ha frequentato con interesse. E’ un ragazzo con tanta voglia di comunicare.
Che impressione ti ha fatto il Consorzio Vero Volley al primo impatto?
Il Consorzio è un posto vivo: aperto non solo allo sport ma anche a tutto quello che gravita attorno. Mi piace davvero tanto collaborare con questa realtà, il fatto che sia aperto all’istruzione e alla formazione degli atleti è qualcosa di davvero innovativo.