Il nuovo centro di riabilitazione di via De Capitani, nato per seguire, accompagnare e supportare i pazienti con diagnosi di disturbo dello spettro autistico e le loro famiglie, apre ufficialmente i battenti. In seguito ad un evento di presentazione, tenutosi presso l’Auditorium Mario Rigoni Stern di Agrate Brianza, Bluemers (bluemers.it) inaugura in città una struttura clinico-riabilitativa che vuole porsi sul territorio come punto di riferimento per chi quotidianamente vive questo disturbo, ma anche come incubatore scientifico per progetti e attività di ricerca che riguardino l’autismo.
Restando sulla stessa lunghezza d’onda, in data sabato 16 novembre 2024 è prevista una mattinata a porte aperte nella quale sarà possibile visitare la struttura e conoscere la famiglia Bluemers tra le 9.30 e le 13.00: “Il nostro focus è quello di realizzare una sinergia tra uno specifico modello clinico e un rigoroso modello scientifico di autismo che possa essere supportata e massimizzata da un modello gestionale efficiente – dichiara Lucia Fumagalli, fondatrice di Bluemers – Secondo noi questa strategia non deve solo affrontare l’autismo nella sua declinazione di emergenza sociale e sanitaria, ma vuole, soprattutto, rappresentare un modello combinato, efficace e replicabile per il futuro”.
L’autismo è, infatti, un disturbo complesso: “Si tratta, da un lato, di una condizione medica con basi neurobiologiche specifiche, seppur molto complesse e in larga parte ancora poco conosciute, dall’altro lato una condizione del neurosviluppo che spesso comporta oltre ai sintomi definiti core, come alterazioni della comunicazione e della socializzazione oltre che degli interessi, anche profili atipici di funzionamento in ambiti come il processamento sensoriale, percettivo e motorio – precisa Laura Villa, Neuropsichiatra Infantile oltre che responsabile clinico del centro – In questo senso, le persone con diagnosi di autismo possono mostrare specifici profili di forza, differenze, debolezze e disabilità che sfociano in un’esperienza di vita che può risultare più o meno adattiva rispetto ad un determinato ambiente. Per questo i disturbi dello spettro autistico ci pongono di fronte a innumerevoli sfide, alle quali, con questa nuova struttura e una squadra di professionisti con competenze diversificate sia in ambito medico clinico che psicologico riabilitativo, vogliamo rispondere”.
Il centro, che può contare sul Consorzio Vero Volley in qualità di partner – Alessandra Marzari, presidente del Consorzio, ha partecipato come relatore alla conferenza di presentazione di Bluemers -, si struttura lungo tre linee di attività mutualmente connesse e in continua sinergia: riabilitazione, ricerca e abilitazione.
Per quanto riguarda la prima linea di intervento, Bluemers vuole rappresentare un’innovativa realtà riabilitativa in grado di seguire il paziente con autismo, la sua famiglia e il contesto allargato offrendo un servizio flessibile e modellato “sartorialmente” sul singolo bambino. La seconda, invece, lungo le tre componenti identificabili con “ricerca di base”, “ricerca clinica” e “ricerca applicata”, vuole offrire metodologie, strumenti e indicazioni per l’attività presente e futura del centro. Abilitazione, infine, risponde, all’esigenza di “contaminazione dei contesti”, ovvero all’esigenza di “generalizzare” quanto appreso nei setting riabilitativi anche in contesti sportivi, ludico-ricreativi e pseudo-lavorativi.
Questo perché il disturbo dello spettro autistico, benché si configuri come un disturbo del neurosviluppo, impatta nella sua cronicità tutto l’arco della vita. “Predisporre adeguati servizi per il tempo libero e possibili percorsi occupazionali significa anche garantire forme adulte di sostegno – aggiunge Beppe Fumagalli, primo investitore nel progetto Bluemers – Quella che ci accingiamo ad affrontare con questa iniziativa rappresenta prima di tutto una sfida antropologica, etica e civile. Dobbiamo studiare per comprendere, comprendere per supportare e, infine, supportare per rendere la nostra società sempre più pronta a dare risposte a chi fatica a trovarne. Solo in questo modo si possono costruire percorsi clinici che vadano in parallelo e integrino percorsi di reale inclusione. Concludo facendo un breve cenno sulle famiglie dei pazienti, le quali saranno coinvolte in ogni momento, allo scopo di massimizzare l’effetto del trattamento contribuendo a formare i caregivers e permettendo quindi al paziente maggiori occasioni di apprendimento in contesti ecologici. Per questo motivo sono previste sessioni di lavoro a domicilio e a scuola, così da contaminare i diversi ambiti di vita. La formazione continua degli operatori e il costante monitoraggio clinico, inoltre, si faranno garanti di un progetto riabilitativo clinicamente e metodologicamente rigoroso, sempre in aggiornamento e in accordo con le emergenti evidenze scientifiche”.